A proposito di capacità di intendere e di volere

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Personalmente, ritengo quello di determinare la capacità di intendere e di volere il quesito più affascinante fra tutti quelli che possono essere posti a un grafologo giudiziario.

È curioso come molti avvocati non sappiano (così ho scoperto) che un quesito simile può essere posto a un grafologo.

In tema di CIV, vi è infatti la convinzione che l’accertamento spetti necessariamente a un medico, e che al grafologo competa eventualmente solo di accertare, qualora vi siano dubbi, se un testamento è autentico.

In realtà, il contributo di un grafologo preparato può essere determinante soprattutto nei casi – invero piuttosto frequenti – in cui la documentazione clinica è scarsa, lacunosa oppure contraddittoria.

Certo, una valutazione grafologica di CIV non può e non deve prescindere dalla consulenza medica, quindi nel caso in cui un Giudice nomini quale unico consulente/perito un grafologo, questi ha il dovere – vorrei dire deontologico – di nominare un ausiliario medico.

Ma quali sono i compiti di queste due figure? E come possono collaborare?

L’attività peritale si articola in 3 fasi:

  1. ricerca di documentazione clinica e di scritti comparativi, e successivo esame della documentazione rinvenuta;
  2. confronto della documentazione grafologica e di quella clinica;
  3. svolgimento dell’indagine e conclusioni.

Nella prima fase, i due consulenti operano distintamente, ma in modo analogo: mentre il grafologo forense ha il compito di acquisire un corpus di documenti autografi significativamente nutrito e rappresentativo, allo scopo di delineare – il più accuratamente possibile – l’evolversi della grafomotricità del testatario, al medico spetta di ricostruire l’evolversi delle condizioni cliniche del de cuius nel tempo.

Completata questa prima fase, ha inizio la seconda, quella in cui i due percorsi, clinico e grafomotorio debbono essere confrontati – potremmo dire collazionati.

In questa fase i due consulenti operano a stretto contatto l’uno con l’altro, allo scopo di ricostruire l’evolversi delle condizioni psicofisiche del de cuius.

L’ultima fase, quella più delicata, consiste nel “collocare” e contestualizzare il testamento de quo nell’ambito del percorso clinico/grafologico, cioè di capire quali fossero le condizioni psicofisiche del testatario nel periodo in cui ha redatto il testamento.

Qualora i dati clinici e quelli grafologici diano indicazioni diverse – atteso che ciò deve avere una sua giustificazione – sarà utile discriminare ciò che è certo (es. dati clinici incontrovertibili) da ciò che non lo è, e valutare se in relazione alla CIV si possa configurare uno stato di capacità intermittente.

Naturalmente, questo articolo non offre che un piccolo “assaggio” di quale possa essere il contributo offerto dal grafologo nel determinare la CIV, ma se il nostro obiettivo era far conoscere quest’ulteriore competenza dei grafologi forensi, confidiamo che esso sia stato raggiunto!